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“Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello.

Luigi Pirandello – Uno, nessuno e centomila

Prima edizione Oscar Moderni, maggio 2016


Il romanzo psicologico Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1925 sulla rivista La Fiera Letteraria, è definito dall’autore “profondamente umoristico” e finalizzato alla “scomposizione della vita”. Il tema principale è la crisi esistenziale del protagonista, Vitangelo Moscarda, soprannominato Gengè, scatenata da un’osservazione della moglie sul suo naso storto. Questo dettaglio apparentemente insignificante lo porta a riflettere sul fatto che l’immagine che ha di sé non corrisponde a quella che hanno gli altri.

Il protagonista scopre che suo padre, che riteneva un banchiere, era in realtà un usuraio. Questo aumenta la sua frustrazione: per gli altri è il “figlio dell’usuraio” e l’erede della sua banca, ma Moscarda non si riconosce in questa identità. Inizia così a compiere azioni estreme: sfratta e poi dona una casa a una coppia di anziani clienti del padre, gesto che per lui è un riscatto morale ma che agli occhi della società appare come follia; successivamente ritira il capitale dalla banca, mandandola in fallimento.

Le reazioni sono violente: sua moglie lo abbandona, e Anna Rosa, un’amica della consorte, tenta di ucciderlo. Dopo l’attentato, Moscarda si ritira in un ospizio, abbandonando tutte le relazioni umane. Qui si libera dalle versioni di sé imposte dagli altri e arriva a una nuova consapevolezza: la vita è un continuo morire e rinascere, un processo di trasformazione che lo libera dai vincoli della società e del corpo.

La narrazione, suddivisa in otto capitoli, è retrospettiva e frammentata. Il protagonista si rivolge spesso a un interlocutore immaginario, dissolvendo la tradizionale concatenazione dei fatti. Pirandello esplora la crisi d’identità nelle sue sfumature più profonde, suscitando nel lettore empatia e riflessioni sulla natura mutevole della realtà.

Vitangelo Moscarda non riesce a trovare una versione autentica di sé: è per gli altri ciò che loro vedono in lui, ma non può mai essere lo stesso per sé stesso. Ogni tentativo di affermarsi porta a una nuova alienazione, fino alla definitiva solitudine dell’ospizio, dove abbandona identità, relazioni e persino il proprio nome. Come afferma il protagonista: “Muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.”

L’opera dimostra come l’identità sia fragile e continuamente mutevole. La citazione “Io ho perduto, perduto per sempre la realtà mia e quella di tutte le cose negli occhi degli altri” sottolinea l’impossibilità di possedere una verità stabile: ciò che oggi appare reale può diventare domani un’illusione.

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